mercoledì 22 agosto 2018



IL BUON GOLF INIZIA CON UN BUON GRIP. Questa affermazione, mi rendo conto, risulta così rivoluzionaria come affermare il fatto sorprendente che la batteria nel Baseball  è formata da catcher e pitcher. Oltretutto, per la maggior parte dei giocatori di golf il grip è la parte più noiosa dello swing, non c’è fascino in esso. Non vedono in esso niente di “attivo”, niente di decisivo. Al contrario, per me e per altri veri giocatori vi è un innegabile bellezza nel modo in cui un buon giocatore impugna il bastone. Walter Hagen, per esempio, aveva un bellissimo grip, delicato e allo stesso tempo potente. Mi è sempre sembrato che le sue mani fossero state appositamente create per adattarsi ad una mazza da golf. Tra i  giocatori più giovani di oggi, Jack Burke mette le mani sul ferro in modo molto elegante. Non c'è dubbio che l'ammirazione di un giocatore di golf professionista per un buon grip deriva dalla consapevolezza che, lungi dall'essere una cosa statica, il grip rappresenta il cuore dell’azione dello swing.
Logicamente, deve essere così. L’unico contatto del giocatore con la pallina è attraverso la testa del bastone, e il suo unico contatto fisico diretto con il bastone avviene attraverso le sue mani. Nello swing  l’energia è originata e generata dai movimenti del corpo. Man mano che essa si accumula, viene trasferita dal corpo alle braccia, che immediatamente la trasferiscono, attraverso le mani, alla testa del bastone.





Si moltiplica enormemente con ogni trasferimento, come una reazione a catena nel campo della fisica. O, per usare un esempio più familiare, si può pensare allo schiocco della frusta, dove l’elemento alla fine della catena (nel golf la testa del bastone) sta andando migliaia di volte più veloce dell’elemento che ha originato la velocità. Questa azione a catena dipende da un grip corretto. Con un grip difettoso, un giocatore non può impugnare saldamente il bastone all’apice del back swing - il ferro risulterà essere sempre fuori controllo. E se il bastone non è guidato da un grip corretto, l'energia che genera un giocatore di golf con il suo corpo non raggiungerà il bastone, attraverso le sue mani nel downswing,  e la testa del bastone non potrà essere accelerata al massimo.
L'impugnatura standard è l’overlapping grip. E’ così da oltre mezzo secolo, da quando Harry Vardon lo divulgò sia in Gran Bretagna che in America. Fino ad oggi non si è ancora trovato un grip più efficace, che garantisca la soliderietà tra il corpo e il bastone. Uno di questi giorni potrebbe uscirne fuori uno migliore, ma fino a quel giorno, dobbiamo affidarci a questo grip. In un buon grip entrambe le mani agiscono come una SOLA UNITÀ. Non possono, se si impugna il bastone in modo “quasi corretto”, il che significa in realtà in parte in modo non corretto. Per citare le più comuni illustrazioni, un giocatore destro (il cui braccio sinistro è naturalmente molto meno potente del suo braccio destro) esclude ogni possibilità di una azione congiunta di entrambe le mani se fin dall’inizio la mano destra risulta essere dominante, o se diviene preponderante nel mezzo del gesto, così da prendere il sopravvento. Una cosa essenziale, quindi,  per assicurarsi un saldo grip a due mani è di mettere la mano sinistra sul grip in modo assolutamente corretto. Ecco cosa vi consiglio di fare:



(Il disegno allegato chiarirà meglio. Scoprirete come qualunque eventuale difficoltà possa sorgere nella comprensione di un linguaggio necessariamente tecnico, potrà essere risolta grazie alle illustrazioni).















 





























(Il disegno allegato chiarirà meglio. Scoprirete come qualunque eventuale difficoltà possa sorgere nella comprensione di un linguaggio necessariamente tecnico, potrà essere risolta grazie alle illustrazioni).


Piega il dito indice attorno allo shaft e scoprirai che si può sollevare il bastone e mantenere un grip relativamente stabile solamente con i muscoli di quel dito ed i muscoli del cuscinetto nel palmo della mano.


Ora chiudi semplicemente la mano sinistra – chiudi prima le dita e poi il pollice – ed il bastone sarà esattamente dove deve essere.


Due illustrazioni del grip completo della mano sinistra. I punti di maggior pressione sono le ultime tre dita.


Per ottenere una certa familiarità con questo primo approccio al’impugnatura corretta, vi consiglio di praticarla per 5 o 10 minuti al giorno per una settimana, fino a quando non vi diventerà naturale.


Quando il giocatore ha completato il grip della mano sinistra, la V formata dal pollice e l’indice dovrebbe puntare all’occhio destro. La pressione totale di tutte le altre dita non dovrebbe essere più forte (e può anche essere un po 'meno forte) rispetto alla pressione esercitata dal solo dito indice e dal muscolo palmare durante l'azione preparatoria. Nel grip completo la pressione principale è esercitata dalle ultime tre dita, con l’indice ed il cuscinetto del palmo che aggiungono una pressione secondaria. Le tre dita premono verso l’alto, il cuscinetto verso il basso, ed il grip è bloccatto nel mezzo.

Esercitare pressione sullo shaft per mezzo del cuscinetto del palmo produce tre conseguenze; rafforza il braccio sinistro durante lo swing, evita che il ferro scivoli dalla presa del giocatore all’apice del backswing ed agisce come un solido rinforzo nel momento dell’impatto.

Questa pressione, di cui stiamo parlando, dovrebbe essere “attiva”, cioè quel tipo di pressione che fa sentire le mani vive e pronte all’azione. Alcuni golfisti afferranno il bastone con tanta veemenza che pare debbano piegarlo. Non c’è nessun bisogno di esagerare la presa sul grip. Anzi, ciò ha un effetto negativo: automaticamente si contraggono i tendini del braccio sinistro, rendendolo così rigido e insensibile da non sentire la vostra richiesta e da non fornire la reazione muscolare necessaria quando si inizia lo swing. Una presa troppo stretta inoltre immobilizzerà il vostro polso. Un grip affidabile, vivo e confortevole è ciò che cerchiamo, perché quando il peso della testa del bastone è portato indietro, istintivamente le vostre dita intensificheranno la presa sull shaft.

Il grip della mano sinistra all’apice del back swing.

Due sezioni anatomiche che raffigurano la struttura della mano sinistra.

Il disegno del grip completo mostra la giusta posizione della mano destra.


Il grip della mano destra, poiché è quella che effettua l’overlapping, è più complicato. Se la posizione di una forte e corretta mano sinistra è solo la metà del lavoro necessario per creare un one-unit grip, l’altra metà dell’opera consiste nel posizionare la mano destra così da fare la metà del lavoro, e non più di questa metà.

Ciò significa, in effetti, attenuare la tendenza naturale del dito indice e il pollice di prendere il sovpravvento. Se lo faranno, vi rovineranno. Le "pincer fingers” (lett. dita a pinza, ndt), sono fantastiche per l'esecuzione di innumerevoli attività, nella vita quotidiana, come l'aprire una porta o sollevare una tazza di caffè, ma non servono a niente, se l’intento è quello di costruire un buon grip ed un buon swing. La spiegazione di ciò sta nel fatto che i muscoli del dito indice e del pollice della mano destra sono in connessione con i muscoli forti che corrono in superficie, dall’avambraccio fino alla spalla. Se unite le punta dell’indice e del police ed esercitate una certa forza, automaticamente attivate proprio quei muscoli del braccio e della spalla, e questi non sono i muscoli da utilizzare nello swing. Il loro uso è ciò che conduce molti golfisti a non colpire la palla con entrambe le mani che lavorano insieme, a barcollare avanti e indietro, tutto braccio e spalla destra, e tutto errato.

PER OTTENERE UN GRIP CORRETTO CON LA MANO DESTRA, STENDETELA APERTA DAVANTI A VOI, CON IL PALMO RIVOLTO AL BERSAGLIO. ORA, CON LA MANI SINISTRA GIA’ IN POSIZIONE, POSATE IL BASTONE SULLA VOSTRA MANO DESTRA, COSì CHE LO SHAFT APPOGGI SULLA PRIMA ARTICOLAZIONE DELLE QUATTRO DITA, BEN OLTRE IL PALMO DELLA MANO.

Come mostra il disegno, lo shaft giace sull’articolazione delle prime falangi della mano destra. Medio ed anulare conferiscono la maggior parte della pressione.


Il grip della mano destra è nelle dita, non nel palmo. La V diell amano sinistra in posizione corretta (un grip tra palmo e dita) dovrebbe puntare all’occhio destro del giocatore.


IL GRIP DELLA MANO DESTRA E’ UN “FINGER GRIP”. LE DUE DITA CHE DOVREBBERO APPLICARE LA MAGGIOR PARTE DELLA PRESSIONE SONO MEDIO ED ANULARE. Come abbiamo già detto, l’indice non dovrebbe divenire troppo importante. Per quanto riguarda il mignolo, scivola al di sopra dell’indice della mano sinistra e si posiziona saldamente tra indice e medio. ORA, CON IL BASTONE TENUTO SALDAMENTE NELLE DITA DELLA MANO DESTRA, SEMPLICEMENTE AVVOLGI LA MANO DESTRA SUL POLLICE SINISTRO – è così che mi piace pensare. Con la mano destra in posizione, il pollice destro dovrebbe scendere leggermente verso la parte sinistra dello shaft.

Se c’è un importante considerazione da tenere in grande considerazione nel vostro pensiero, circa la mano destra, è che il bastone deve essere nelle dita e non nel palmo. Per dare alla palla backspin, per lavorarla con un elegante underspin e per fare tante altre cose con la pallina, questa deve essere colpita in modo netto e preciso, e si può raggiungere questo risultato solamente se il bastone è tra le dita della vostra mano destra. Di più: un grip appropriato con la mano destra permetterà al giocatore di trasmettere maggior velocità alla testa del bastone. Ciò che vogliamo è una velocità controllata, e ciò si può ottenere solamente dalle dita, non dalla mano destra.

Una parola di più sul mignolo della mano destra. Mentre per tanto tempo è stata una pratica consolidata poggiare il mignolo arcuato sull’indice sinistro, vi consiglio caldamente di stringere il mignolo nella cavità formata da indice e medio. Ciò fa sì che le mani non si sconnettano, e mi dà la sensazione che le mie mani siano saldamente collegate tra loro.

Ulteriormente, a proposito dell’area del pollice della mano destra. Per favorire un grip con la mano destra che sia forte quando deve esserlo (e che sarà quindi in grado di compensare la pericolosa tendenza a lasciare che i polpastrelli di pollice e indice lavorino come una tenaglia), consiglio al lettore di coltivare la seguente abitudine: abituatevi, quando prendete il bastone, a far sì che il pollice e la parte adiacente che forma la V, la parte che è l’estensione superiore dell’indice, siano premute una contro l’altra, inseparabili come gemelli siamesi.. Mantenetele pressate così quando vi accingete ad impugnare il bastone e quando ponete la mano destra sul pollice sinistro. In questa posizione connessa, mi piace sentire che la nocca sul dorso della mia mano destra, in corrispondenza dell’indice stia spingendo verso sinistra, verso il bersaglio. Si trova quasi al di sopra del centro dello shaft. Allora sento di avere il bastone nelle dita. Inoltre, quando poggiate la mano destra sul pollice sinistro – e si avrà molto più spazio per porla al di sopra – il pollice sinistro si adatterà perfettamente alla cavità formata dal palmo dell mano sinistra. Saranno così uniti tra loro come quei pezzi dei rompicapo in legno.


L’unione tra il pollice sinistro e la base del pollice destro rafforza l’unione delle due mani e conferisce stabilità al vostro grip, particolarmente quando si è all’apice del back swing, dove i grip malfermi tendono ad incrinarsi. Quando osservate il vostro grip della mano destra, la V formata da pollice ed indice dovrebbe puntare proprio alla punta del vostro mento.


Inizio modulo

Un'ultima parola su quei potenziali sabotatori di swing che sono il pollice e l’indice della mano destra. Nonostante i polpastrelli di queste due dita servano certamente al golfista provetto nella loro qualità di dita più sensibili, imparare ad usarle nel colpire la pallina richiede molta pratica. Potrete sviluppare questa attitudine con l’andare del tempo. Tuttavia, in questa fase del gioco, in cui dimenticare le cattive abitudini e acquisire una nuova e corretta impostazione  è il nostro obiettivo principale, non ho dubbi che il golfista amateur debba dimenticarsi di queste raffinatezze. L’imparare come usare la mano destra può dare più danno che benefici. Con questa impostazione delle mani, un esercizio estremamente produttivo da praticare ( per circa cinque minuti al giorno, per una settimana) è prendere il bastone e fare qualche swing con pollice ed indice completamente sollevati dallo shaft. Questa esercizio dà al golfista la magnifica sensazione di avere una sola mano sul bastone. Ovviamente, questo sarebbe l’ideale. Quando avete completato il grip, cercate di sentire che le punta di pollice ed indice sono appena sull’impugnatura, e sforzatevi invece di costruirvi quella sensazione opposta (prima descritta) che la nocca dell’indice destro spinga verso il pollice e verso il bersaglio.

Potrebbe sembrare che si sia andati troppo oltre in dettagli insignificanti, a proposito degli elementi di un grip corretto. In realtà è proprio il contrario. Troppo spesso nel golf si preferisce la approssimazione al dettaglio. Per esempio, il golfista pensa che sovrapporre il mignolo (Overlapping ndt) sia il dettaglio, cosicchè non presta abbastanza attenzione a come ciò viene fatto, Oppure egli confonde l’effetto (che può essere del tutto superficiale) con l’azione (l’essenza) che causa l’effetto. Per esempio: molti golfisti pensano che, se le due V sono puntate correttamente, il grip deve essere corretto. Può essere ma può anche non essere. La direzione delle V non è una garanzia, semplicemente  un “Checkpoint”. Nel golf vi sono cose da fare in modo estremamente preciso, in quanto essere abbastanza precisi non è abbastanza. Il grip è una di quelle componenti, dove essere abbastanza precisi non conduce a niente. Al contrario, una volta che coltiverete le vostre buone abitudini, impugnare il bastone correttamente verrà naturale. Verrrà istintivo. Di più: essre meticolosi nell’imparare una corretta impugnatura vi ricompenserà ampiamente. Una volta che avete la padronanza del grip, e supponendo che anche lo stance e la postura siano corretti, potrete dimenticarvi di cosa le mani stiano facendo durante lo sing, o di cosa debbano fare. Ci penseranno loro autonomamente. La ragione di ciò è che un corretto grip mette in gioco i muscoli corretti, delle vostre braccia e del vostro corpo.

Vorrei rimarcare questo punto, se posso, con una piccola nota biografica, perché se c’è un golfista che è passato per tutti i possibili grips, quello sono io. Sono nato mancino, mi era naturale fare le cose di sinistro. Fui forzato ad usare la destra quando ero un ragazzo, ma iniziai a giocare a golf da mancino, perché il primo bastone di cui venni in possesso, un vecchio ferro cinque, era da mancino. Smisi di esserlo per ragioni, diciamo così, commerciali. I ragazzi della mia città natale, Forth Worth, erano soliti acquistare i bastoni (ad un dollaro l’uno) in un piccolo negozio, e semplicemente non vi erano più ferri da mancino nel barile dove questi ferri venivano riposti. Quando passai a giocare da destro, probabilmente come conseguenza dei miei inizi, usavo un reverse grip con le mani al contrario. Passai poi all’interlock grip e dopo un po’, dovevo avere circa quindici anni allora, finalmente arrivai all’overlapped grip. A quei tempi lavoravo nel pro shop del Glen Garden Club, e adottai il grip del maestro locale, Ted Langworth. Mi accorsi immediatamente che quello era il migliore di tutti i grip, e una volta persuaso del fatto impiegai poco tempo per abituarmici.

Nel corso degli anni, da quando ho adottato l’overlapped grip, vi ho apportato due minime modifiche. subito dopo il servizio militare, passai dal cosiddetto “long thumb”, con il pollice sinistro completamente disteso sull’impugnatura, allo “short thumb”, spostando il pollice in alto di un mezzo pollice (inch ndt). Il “long thumb” lasciava cadere il bastone all’apice del backswing e rendeva difficile avere il giusto timing. Ho fatto la mia seconda modifica nel 1946, ruotando la mano sinistra di un buon mezzo pollice verso sinistra. Stavo allora lavorando per trovare il modo di controllare la potenza che a volte mi portava ad agganciare la palla. Muovere la mia mano verso sinistra, così da avere il pollice dritto nel mezzo dello shaft fu il primo passo per risolvere questo problema. Considero queste due piccole modifiche come del tutto personali. Ad ogni modo, per me funzionarono, e le consiglierei certamente a quei golfisti che avessero il mio stesso problema. Lasciate che chiarisca, tuttavia, che ripenso a queste come a piccoli aggiustamenti e non a fondamentali cambiamenti. Il golfista veramente fortunato è quello che ha bisogno del minor numero di correzioni.

Il grip, nel golf, funziona al meglio quando le mani e le dita si sentono libere. A volte è così, a volte no. Può essere interessante sapere che bere un po’ di Ginger Ale, per il suo effetto sui reni, sembra prevenire quella sensazione di gonfiore nelle mani. Il clima freddo, ovviamente, influenza queste sensazioni. A Carnoustie, per essere certo che le mie mani fossero abbastanza calde, portavo uno scaldamani in ogni tasca. Sono quegli affari Vittoriani che funzionano un po’ come gli accendisigari; un piccolo astuccio metallico (ricoperto di panno spesso) riempito di fluido che, una volta accesa la miccia, riscalda per circa otto ore, Casualmente questi scaldamani servivano anche a mantenere calde le palline da golf. Come si sa, una pallina calda vola più lontano di una fredda.

Nella prossima lezione prenderemo in esame il fondamentale dello Stance and Posture. Ma non corriamo troppo. Per almeno una settimana, CERCATE DI IMPRATICHIRVI CON IL GRIP, PER ALMENO MEZZ’ORA AL GIORNO. IMPARARE I PROSSIMI FONDAMENTALI SARA’ DUE  VOLTE PIU’ FACILE E PIU’ PROFICUO. Voglio ancora rimarcare il fatto di come sia necessaria una applicazione mentale per imparare lo swing, ma anche di come questa applicazione possa essere gratificante. Alla fine, Il giocatore amateur imparerà a mettere insieme tutte le parti dello swing. Sarà in grado di ripetere il suo swing in modo continuo e di tirare colpi che avranno le stesse caratteristiche di quelli dei giocatori pro, poiché staranno usando lo stesso metodo che i pro usano. Potrà non essere lungo, o preciso come i pro, ma sarà comunque lungo e diritto. E tirerà colpi eseguiti correttamente e con una certa personalità. E’ questo un fatto che molte persone non hanno mai provato, ma che è sicuramente alla portata di una persona di medie capacità. Non potrò mai porre abbastanza l’accento su questa cosa. Una volta che il golfista amateur si appresta al corretto metodo per colpire la pallina, inizierà a migliorare, e a gustare questo miglioramento, e si renderà finalmente conto di essere in grado di tirare colpi solidi, di fare volare la palla alta o bassa, con il draw o con il fade, colpi dal bunker, recuperi, mezzi colpi – TUTTO QUESTO SENZA CAMBIARE IL SUO SWING. E’ lo swing stesso che vi darà questa sensazione di avere la padronanza di questa grande varietà di colpi.

A mano a mano che migliorerà, il giocatore apprezzerà il gioco sempre più, perché uno swing corretto gli permetterà di riscoprire il golf – o meglio di scoprire il golf per la prima volta. Avrà tutto ciò che serve, l’intero “vocabolario” del golf. Vedrà un gioco completamente diverso. Quando sarà sul tee e si troverà un’ ostacolo d’acqua che richiederà un volo di palla di almeno 170 yards, non andrà sulla palla sconsolato, come fanno certi giocatori, pregando che in qualche modo la palla vada al di là dell’ostacolo, perché questo è il meglio che possa sperare.No, saprà di essere in grado di tirare colpi di 200 yards  sull’acqua in ogni momento, e sarà in grado di pensare ad altro: quanta parte dell’ostacolo dovrà evitare, quale sarà la migliore posizione (per un giocatore delle sue capacità) per attaccare il green con il secondo colpo. La strategia di gioco, implicita in ogni buon percorso, lo conquisterà, invece di confonderlo, Comprenderà perché quel particolare albero sia stato posizionato sul bordo del fairway. Comprenderà perché quel dato ostacolo è stato posizionato all’inizio del green. Capirà perché il fairway si restringe in quel dato punto. Non chiederà al Consiglio del Circolo di tagliare l’albero, di ridurre l’ostacolo o di abbassare il rough. Obietterà addirittura, se vi saranno propositi per “ammorbidire” il rough.

In breve, il giocatore farà suo lo spirito del gioco. Quando tirerà un brutto colpo e questo lo metterà di fronte ad un difficile colpo di recupero, raccogliera la sfida, e giocherà il colpo successivo ancora meglio per rimediare al suo errore. Se l’entrata al green sarà stretta, saprà di diover giocare un colpo ancora più preciso del solito, o ne pagherà le conseguenze. Avrà questo atteggiamento perché saprà di avere uno swing essenzialmente corretto e ripetitivo e che sarà in grado, con una certa concentrazione, di tirare il colpo adatto. Farà errori, certamente, poiché è un essere umano, ma sarà un giocatore, e il golf sarà per lui una fonte di crescente soddisfazione.


Champion Golfer of the Year


Quelle lingue di terra dura e sabbiosa, racchiuse tra le colline ed il Mare del Nord e continuamente spazzate dal vento.
Terra brulla: solo festuca, cespugli di ginepro ed erica; terra non adatta alle colture, al massimo al pascolo dei greggi di pecore. E' qui, in questo angolo di mondo nel Nord della Scozia, che secoli fa qualcuno, chissà come, inventò il Golf. Nello spazio più pianeggiante ricavò una buca, grande quel tanto per farci entrare una palla fatta di corda e pelle di pecora, vi piantò sopra un'asta con un fazzoletto ad indicarne la posizione, indietreggiò fino a quando quello straccio bianco non fosse diventato un puntino in lontananza. Poi prese un bastone ricurvo e la colpì. Tutto iniziò così.
Da allora il Golf ne ha fatta di strada. Nel corso dei secoli ha preso forma. Codificando il gioco e dotandosi di regole, stabilendo come dovessero essere fatti i percorsi e l'attrezzatura, è diventato uno Sport a diffusione planetaria, uno tra gli Sport più praticati, sicuramente lo Sport che muove più interessi economici al mondo.
Al giorno d'oggi il mondo è cosparso da campi da Golf di una bellezza incomparabile: tra le foreste delle montagne rocciose, sulle isole caraibiche, nei deserti dell'Arizona o a fianco delle spiagge bianche di Mauritius. Campi costruiti con investimenti milionari che offrono al golfista, che sia un professionista del Tour o un semplice dilettante, panorami incredibili e un percorso in cui la natura è in qualche modo stata piegata al volere dell'uomo. Addomesticata, se così vogliamo dire.
Poi un giorno arrivi sui Links: annusi l'aria salmastra e profumata, senti il vento che ti sferza la faccia e fa sbattere la bandiera là in fondo sul green, e capisci. Anche se non sei mai stato lì, capisci che quella è la vera essenza del gioco del Golf. Giocare il tuo miglior Golf non contro chi ti sta di fianco, ma contro il campo che hai davanti. Sembra quasi dirtelo, Carnoustie; io sono qui, sempre uguale, da centinaia di anni. Fammi vedere di cosa sei capace.
E così, per una settimana all'anno, da cento e passa anni, il Golf torna alla sua vera dimensione. I campioni del Tour americano ed Europeo, abituati a ridicolizzare campi molto più lunghi di Carnoustie e con green molto più veloci, devono improvvisamente fare i conti con sé stessi. Qui i numeri non hanno nessuna importanza: non importa quanto tiri lungo il drive, qual é la tua percentuale di sand saves o di putt impucati entro i tre metri. Se giochi sui Links sai che prima o poi il percorso ti metterà alla prova: arriverà il momento in cui, se vuoi vincere, dovrai dimostrare di esserne all'altezza. Non è una questione di tecnica, non solo. E' soprattuto una questione mentale; devi sapere che l'errore fa parte del gioco, devi saperlo accettare ed essere capace di porvi rimedio nel miglior modo possibile. E' in sostanza una sfida, tra il giocatore e il campo. Nient'altro.
Non devi per forza essere migliore dei tuoi avversari, e la storia dell'Open lo insegna. Puoi essere il numero 300 al mondo, come Ben Curtis, o puoi essere Tom Watson, e rischiare di vincere il tuo sesto Open a sessant'anni. Devi solamente essere in grado di giocare il campo al meglio.
E così in un fine settimana di metà Luglio, mentre i grandi del Golf mondiale, da Jordan Spieth a Tiger Woods, da Rory McIlroy a Justin Rose, si inchinavano davanti a Carnoustie, un solo giocatore, colpo dopo colpo, buca dopo buca, riusciva in un'impresa eccezionale, la cui portata ancora adesso non è stata compresa: due giri perfetti, senza perdere nemmeno un colpo, su un percorso tra i più difficili al mondo. Impresa mai riuscita a nessuno in passato.
Il nostro Francesco, incurante delle difficoltà, dei colpi sbagliati, del tifo che incitava un Tiger Woods in rimonta, si è presentato sul green della 18 dopo un approccio fantastico e ha suggellato un torneo memorabile con un birdie che ha riassunto tutta una carriera golfistica.
In quel momento Chicco non ha battuto i suoi avversari; ha vinto la sua personale battaglia con Carnoustie.
Cala la sera sulle terre di Scozia, e il volto di Molinari illuminato dagli ultimi raggi di sole e dai riflessi scintillanti della Claret Jug diventa improvvisamente quello di un ragazzino; di quel ragazzino che aveva pianto per la sconfitta di Costantino Rocca al Playoff tanti anni prima e che oggi solleva al cielo il trofeo più antico, amato e ambito da tutti i golfisti del mondo.
E quel titolo, che per quasi centocinquant'anni di Golf ha suggellato il successo dei più grandi giocatori di sempre, oggi, incredibilmente, appartiene a noi italiani. Francesco Molinari, Champion Golfer of the Year. Well Played, Francesco!


lunedì 22 gennaio 2018

I FONDAMENTALI

Venticinque anni fa, quando avevo 19 anni, sono diventato un giocatore di golf professionista. Suppongo che se inserissi i dati corretti in  uno dei nostri moderni "cervelli elettronici", questo  eseguirebbe un paio di calcoli e poco dopo mi comunicherebbe  quante centinaia di migliaia di colpi ho tirato in campo pratica, quanti ne ho tirati nei tornei, quante volte ho fatto tre putt quando non c'era alcuna ragione per farlo, e così via. Come la maggior parte dei golfisti professionisti, ho la tendenza a ricordare un po’ meno chiaramente i brutti colpi rispetto a quelli buoni - quei due o tre colpi per giro, raramente di più, che sono stati eseguiti esattamente come pensavo dovessero essere.

Tuttavia, avendo lavorato molto sul mio golf con tutte le risorse fisiche e mentali che ho avuto a disposizione, sono riuscito a riprodurre alcuni colpi veramente buoni in fasi molto importanti  dei tornei Major. Per citare un esempio che molti dei miei amici ricordano con particolare emozione - e anch'io, se è per questo - nel 1950 a Merion, avevo bisogno di un par sulla 72esima buca per andare al comando nell’US Open. Per ottenere quel par  avevo bisogno di fare atterrare la palla su un green insidioso, leggermente in discesa, da una distanza di circa 200 yards. Ci sono colpi più facili nel golf. Ho preso il ferro 2 e ho tirato quello che, secondo il mio sincero giudizio, è stato uno dei colpi migliori del mio ultimo giro, forse uno dei migliori che ho giocato durante tutto il torneo. La palla è partita verso la parte sinistra del green, ha tenuto la traiettoria saldamente, ha rimbalzato sull’ avant green ed è rotolata a circa 40 piedi dalla buca. Era tutto ciò che potevo chiedere a quel colpo. Ho poi giocato due putt per il mio 4, e questo mi ha permesso di entrare nel playoff per il titolo, che ho poi conquistato il giorno seguente. 

Riporto questo episodio non per il piacere di riassaporare la soddisfazione di un “grande momento” ma, piuttosto, perché ho scoperto in molte conversazioni che il ricordo che io ho di questo colpo (e altri simili) è notevolmente diverso dal ricordo che la maggior parte degli spettatori sembra avere. Essi sono inclini ad enfatizzare quel colpo in quanto era stato eseguito in una situazione di pressione. Essi tendono a pensare ad esso come a qualcosa di unico in sé, qualcosa di estremamente  ispirato, si potrebbe dire, dal momento che quello era esattamente il colpo che la situazione richiedeva. Io non lo vedo affatto così. Io non ho colpito quel colpo allora, in quel tardo pomeriggio a Merion. Avevo praticato quel colpo da quando avevo 12 anni. Dopo tutto, la cosa fondamentale in un torneo di golf è quello di avere il controllo su uno swing che, più si è sotto pressione, meglio funziona.
Per tanti aspetti, il golf giocato in una competizione ed il semplice golf sono estranei l'uno all'altro come l’hockey su ghiaccio e il tennis. Per altri aspetti non lo sono: il professionista che gioca per la sua sopravvivenza nel circuito (con il suo orgoglio, le sue soddisfazioni, e migliaia di dollari in gioco) e il giocatore amateur, che cerca di produrre il suo miglior gioco nel fine settimana (con il suo orgoglio, le sue soddisfazioni, e un dollaro in gioco) stanno entrambi cercando di padroneggiare quei movimenti che si tradurranno in uno swing consistente, UN CORRETTO, POTENTE E CONSISTENTE SWING. Questo assunto può essere affermato categoricamente: è assolutamente impossibile per qualsiasi persona giocare bene a golf senza uno swing ripetitivo.
Allora, come si fa a costruire uno swing su cui fare affidamento, uno swing che si possa ripetere allo stesso modo in qualsiasi condizione di vento, di brutto tempo, sotto ogni tipo di pressione? Avendo dedicato la maggior parte delle mie ore di veglia (e alcune delle mie ore di sonno), per un quarto di secolo alla ricerca della risposta, oggi credo che ciò che ho imparato possa essere di enorme aiuto per tutti i golfisti. Questo è il motivo per cui mi sono impegnato nel mettere giù questa serie di lezioni. Non mi ripropongo di disquisire di teoria. Ciò che ho appreso, l’ho imparato attraverso tentativi ed errori; guardando un buon giocatore fare qualcosa che sembrava corretto per me, imbattersi in qualcosa che sembrava giusto per me, sperimentando quella data cosa per vedere se aiutava o ostacolava il mio gioco, facendola mia se serviva e affinandola a volte, scartandola in caso contrario,  o scartandola in un secondo tempo se si era dimostrata inaffidabile durante il gioco dei tornei; sperimentando continuamente nuove e vecchie idee in ogni sorta di variazione,  fino a quando non sono arrivato a un insieme di elementi fondamentali che mi sembravano adeguati perché asserviti ad uno scopo ben preciso, una serie di fondamentali che si sono rivelati giusti perché hanno resistito e si sono dimostrati efficaci in ogni tipo di situazione. Per dirla in breve, le nozioni che illustrerò sono un sunto delle conoscenze che ho cercato di acquisire da quando ho conosciuto il golf , da quando a 12 anni ho capito che volevo fare del golf la mia professione.

Fino a un certo punto, per come la vedo io, non c'è niente di difficile nel golf, niente. Non vedo alcuna ragione, in verità, per cui un golfista medio, se si approccia al gioco in modo intelligente, non debba tirare meno di 80 colpi, ed intendo tirando quei colpi che un buon giocatore di golf sa di poter giocare. In qualche modo i golfisti amateur si convincono di non poter giocare un “colpo lungo” correttamente, di non avere la capacità o la coordinazione per eseguire uno swing solido. Puttare o approcciare, quella è un'altra storia. Il giocatore medio si sente in grado di affrontare con successo quella parte del gioco in cui ha bisogno di uno swing corto. A mio parere, il giocatore medio si sottovaluta. Ha tutto ciò che serve per eseguire  uno swing pieno e tirare colpi consistenti. Uno swing pieno non è altro che una estensione di uno swing corto. Come per ogni cosa, ci vuole un po'di applicazione, ma imparare i movimenti corretti è 10 volte meno difficile di quello che si pensa. In realtà, una volta che siete sulla strada giusta nel golf, fare le cose nel modo giusto richiede uno sforzo molto minore che farle nel modo sbagliato.
Mi rendo conto di essere un uomo esigente, e di come alcune cose siano più difficili per alcune persone di quanto io possa immaginare, ma veramente mi fa male guardare quei golfisti che sudano sul tappetino di pratica, gettando via la loro energia senza uno scopo costruttivo, nove volte su dieci facendo la stessa cosa sbagliata che facevano anni e anni addietro quando iniziarono a giocare a golf. Questo tipo di giocatore di golf ovviamente ama il gioco, o non sarebbe certo lì a praticare. Ma tuttavia non riesco a guardarlo a lungo. La sua frustrazione, tutto quello inutile spreco di energia davvero mi dà fastidio. Se anche stesse là fuori sul tee di pratica fino ai 90 anni, non migliorerà mai, Anzi andrà sempre peggio,  perché le sue cattive abitudini diventeranno sempre più profondamente radicate. So che migliaia di giocatori si consolano con il fatto che il gioco del golf è un modo per tenersi in forma e stare in compagnia, il che è meraviglioso; ma ogni golfista, nel profondo del suo cuore, vuole giocare il gioco relativamente bene. Per riuscire in questo sono necessari un po' di impegno, qualche pensiero, un po'di fatica, ma il giocatore che saggiamente intraprende questa strada sarà in grado di esprimere un buon golf e di migliorarsi per il resto della sua vita. Il piacere più grande si ottiene attraverso il miglioramento.
Prima di iniziare con le nozioni, lasciate che vi dica più specificamente che cosa faremo e cosa speriamo di ottenere. Per cominciare, il libro sarà composto da cinque lezioni. In ognuna di queste presenteremo al lettore golfista uno o due elementi fondamentali da praticare ed assimilare, così da costruire progressivamente delle solide basi su cui i successivi fondamentali possano essere aggiunti. Il golfista che dedica una mezz'ora al giorno per praticare i punti che spiegheremo in queste cinque lezioni sarà in grado, io credo,  di migliorare il suo gioco ed il suo score immediatamente ed in maniera determinante. Il grado di miglioramento del gioco  varierà a seconda della qualità dell’impegno di ogni individuo. Continuando a praticare e applicare questi principi fondamentali, il giocatore continuerà a migliorare il suo gioco, molto spesso, ben oltre i suoi sogni più rosei. Io sinceramente credo in questo: IL GIOCATORE MEDIO E’ ASSOLUTAMENTE IN GRADO DI COSTRUIRE UNO SWING RIPETITIVO E DI GIOCARE SOTTO GLI  80 COLPI, se impara a eseguire un piccolo numero di movimenti corretti e viceversa, ne consegue, se elimina un sacco di movimenti che tendono ad allontanare lo swing dalla ripetitività.

In queste lezioni non cercheremo certamente di coprire tutto il golf, o forse nemmeno un centesimo di questa materia inesauribile. Ciò con cui avremo a che fare sono quegli aspetti del golf che si sono rivelati i veri fondamentali – fondamentali che possono essere sperimentati e non solamente lasciati all’immaginazione o al caso. Questo è tutto ciò che realmente serve.
Secondo il parere di alcuni miei amici che sono più che tradizionalisti, molte delle mie idee sul golf  sono abbastanza rivoluzionarie. Alcune di loro lo sono, credo. Per come la vedo, alcune cose che a lungo sono state credute di fondamentale importanza nel campo del golf  nono sono affatto importanti. D'altra parte, alcuni altri aspetti che sono stati considerati di secondaria importanza (o addirittura di nessuna importanza) mi sembrano invece inestimabili, tanto da essere in realtà il vero fondamento dello swing moderno. Un'altra cosa. Io sono un sostenitore di quel tipo di insegnamento che sottolinea l'esatta natura e l’esatta sensazione dei movimenti che un giocatore fa per raggiungere il risultato che vuole. Se si dovesse insegnare a un bambino ad aprire una porta, non si apre la porta per lui e poi ci si dilunga a descrivere come è la porta aperta. No, gli si insegna come girare la maniglia della porta,  in modo che possa aprire la porta da sé. Allo stesso modo, in queste lezioni il nostro metodo consisterà nel sottolineare ciò che si fa per ottenere il risultato che si sta cercando. Le azioni che causano il risultato - queste sono i veri fondamentali del golf. A proposito di tutti gli atteggiamenti  e i manierismi personali che fanno parte dello stile individuale, non ho mai visto un grande giocatore il cui metodo di colpire la palla non includa i fondamentali che metteremo in risalto. Altrimenti, come è ovvio, quel giocatore non potrebbe essere un grande giocatore.

 

 

mercoledì 8 marzo 2017

My farewell to Mr. hogan



Come ho detto nelle prime pagine di questo blog, al tempo mi stupii che nessuno avesse pensato di tradurre le Five Lessons in Italiano.Un libro che da tutti i Golfisti è considerato fondamentale; certamente, nella sua essenza, il libro più importante mai scritto sulla tecnica del Golf. Beh, fortunatamente qualcuno ci ha pensato. Si è preso la briga di contattare la Ben Hogan Foundation, di intavolare una lunga trattativa per l'acquisizione dei diritti, di impegnarsi in un lavoro di traduzione impegnativo, e in sostanza di imbarcarsi in un'avventura, la sua pubblicazione in italiano, a cui auguro tutto il meglio. Naturalmente questo significa anche la fine di questo blog, o quantomeno delle parti riguardanti la traduzione del libro stesso. Mi considero abbastanza in là con gli anni per sapere ancora apprezzare un buon libro, nel senso di una pubblicazione su carta: e se ce ne fosse uno, parlando di Golf, questo è sicuramente "The five lessons: the modern fundamentals of Golf".

Quindi, nel salutarvi ed augurarvi tante giornate di Golf, vi invito anche ad acquistarlo e a tenerlo a portata di mano perché, a mio modesto parere, la saggezza golfistica che si coglie ad ogni pagina merita di essere lì, nella vostra libreria.
Un saluto e grazie, 
Andrea Gandolfi


sabato 11 giugno 2016

Lo Zen e il gioco del Golf


Credo che nel corso degli anni siano stati scritti milioni di libri sul gioco del golf. Per non parlare delle riviste del settore e, con l'avvento di Internet, dei blog, dei siti, dei forum; se sei un golfista ti imbatti ogni giorno, inevitabilmente, in qualcuno che ti dice "É semplice, ti spiego io come fare". La considerazione che mi viene spontanea é che se la maggior parte di loro sapesse anche mettere in pratica quello che insegna, il mondo sarebbe pieno di fenomeni in giro sui Tour professionistici.
Ciò non accade, per il semplice motivo che sapere come la cose vadano fatte non implica che si sia in grado di farle. D'altra parte, e a ragion veduta, credo che il golf sia l'unico sport in cui il consiglio a un avversario, venga sanzionato. In breve, il golfista porta in sé l'attitudine a dire agli altri come si fa.
In questo blog non ho mai parlato di tecnica: quello che ha scritto Ben Hogan basterà ancora per molte generazioni a venire. Mi permetto solamente di consigliarvi una lettura che ho trovato estremamente illuminante: la miglior cosa che ho letto sul Golf da tanto tempo a questa parte. Stranamente, questo libro non parla di tecnica, e nemmeno di Golf.
É un piccolo libro, forse un centinaio di pagine, e si intitola "Lo Zen e il tiro con l'arco". Lo lessi per la prima volta una trentina di anni fa, quando per me il Golf era solamente un passatempo di derivazione anglosassone. Rileggerlo oggi con gli occhi del golfista me ne ha fatto comprendere l'essenza in tutta la sua importanza.

A questo punto penserete che un bell'articolo di Hank Haney che vi spiega come uscire dal bunker migliorerà il vostro gioco molto più di un libro scritto ottanta anni fa da un tizio che non sapeva nemmeno dell'esistenza del Golf (Eugen Herrigel, per inciso). Sbagliato. In poche parole, il libro parla di come il protagonista, soggiornando in Giappone per un lungo periodo, si avvicini al tiro con l'arco con l'approccio pragmatico dell'uomo occidentale e di come il suo Maestro, poco alla volta e non senza fatica, lo conduca ad affrontare questa disciplina rovesciando tutte le convinzioni proprie della cultura occidentale.
Cosa sia la filosofia Zen non é cosa facile da spiegare, e io non sono certo un esperto: in modo molto stringato si puó dire che lo Zen é "trascendere il dualismo".
Tutti noi viviamo in un mondo deterministico, in cui il principio di causa ed effetto domina la nostra esistenza: se piove e non ho l'ombrello mi bagno, se dimentico il latte sul fornello questo va di sopra. Allo stesso modo il golfista sa che se stringe troppo il grip venendo dall'esterno probabilmente farà slice. O forse no? Perché dopo anni di pratica anche a qualcuno di voi sarà venuto il dubbio che la correlazione causa-effetto nel Golf non sia una regola scolpita sulla pietra...
Lo Zen non nega il principio causa-effetto; semplicemente invita ad andare oltre, a dimenticare che ogni azione produce una reazione, che ogni cosa ammette implicitamente il suo contrario. Applicare questo principio al tiro con l'arco, o se preferite al Golf, significa dimenticare che il nostro gesto tecnico provoca il colpo. Il fine ultimo dell'arciere é fare sí che la freccia "si scocchi". Per fare questo l'allievo dovrà riuscire a raggiungere uno stato mentale di assoluta estraniazione dal gesto. E' un po' come essere "In the zone" quando si gioca a Golf; le cose vengono naturalmente, senza nessuna costrizione.
Il maestro dice all'allievo: "Potrai imparare tutto ciò che si può sapere sulla tecnica del tiro con l'arco, ma se non sarai capace di dimenticare tutto prima di scoccare la freccia, non sarai mai un arciere". Ma arrivare a ciò significa affrontare un percorso lungo e incerto, in cui il protagonista si trova combattuto tra la volontà di seguire il maestro pur senza comprendere, e la necessità tutta occidentale di razionalizzare ogni sua azione e di capirne il significato.
I parallelismi tra il tiro con l'arco e il Golf si susseguono pagina dopo pagina. In entrambe le discipline, ad esempio, è fondamentale raggiungere uno stato di rilassamento, eliminando ogni tensione. Come dice Ben Hogan "la tensione uccide la velocità", e allo stesso modo, nel tiro con l'arco, "la tensione uccide la precisione." Il rilascio della freccia, semplicemente accade. Non c'è intenzione nel gesto, non c'è volontà. Parlando di altre analogie con il Golf, ad esempio, il Maestro insiste sul fatto che tutto ciò che viene fatto prima del gesto, la vestizione, la cerimonia del té, il saluto tra maestro e allievo sia ben più importante della pratica del tiro in sé.
Tutto ciò che viene fatto prima del gesto fa parte e si esprime nel gesto. Parafrasando tutto questo in ambito golfistifco, si potrebbe dire che la routine, cioè quella serie di gesti regolari e ripetitivi che facciamo prima del colpo, è molto più importante dello swing in sé. Per il semplice motivo che non possiamo avere il controllo del movimento mentre lo stiamo eseguendo; lo swing è semplicemente la risultante di tutto ciò che abbiamo fatto prima.
L'ultima e più importante regola che il Maestro insegna all'allievo, questa mutuata dall'arte della spada Shogun, é che non si deve mai temere l'errore. La paura di sbagliare condiziona il gesto, che deve invece essere libero da qualsiasi costrizione: in nessun caso il duellante si deve chiedere quale sarà il risultato del suo gesto; il gesto deve esistere in sé, quasi non fosse provocato dalla volontà umana.
Non so e sia stato un caso, ma dopo aver letto il libro ho fatto un giro 4 sopra par, che è il mio migliore risultato di sempre. Quando a volte la filosofia può aiutarti a giocare bene a Golf. Incredibile.




 


 




 

giovedì 4 settembre 2014

I ferri di Ben Hogan



Tra tutte le cose che rendono il Golf meraviglioso, vi è la sensazione di fare parte di uno sport con una tradizione unica . E’ una sensazione condivisa da tanti golfisti; certamente da Ben Hogan, che nutriva una grande curiosità ed un profondo rispetto per il gioco, per la sua storia e per i suoi protagonisti. E’ estremamente affascinante, dal mio punto di vista, pensare che il golf, nonostante l’evoluzione della tecnica e dell’attrezzatura degli ultimi anni, sia ancora sostanzialmente il gioco praticato in Scozia cinquecento anni fa; e, cosa più importante, che lo “Spirit of the Game” sia rimasto inalterato nel corso degli anni. Una cosa il golf ha in comune con tutti gli altri sport, ovvero la domanda ricorrente su chi sia stato il più grande di tutti i tempi. Pelé o Maradona? Michael Jordan o Magic Johnson? In ambito golfistico la questione rimanda direttamente, più che in altri sport, all’attrezzatura golfistica e alla sua evoluzione. E a questo proposito, curiosando sulla rete qualche giorno fa, ho trovato in vendita, su un sito di aste on line, il set di ferri con cui Ben Hogan vinse tutte le gare giocate nel 1953, tra cui tre Major. In quell’anno, per la precisione, Hogan vinse il Masters di Augusta don uno score di 14 colpi sotto il par (record rimasto imbattuto fino al 1965), lo US Open con uno score di -5 e il British Open, a Carnoustie, con una carta 6 sotto par. Usando questo set di ferri Mc Gregor.






Tralasciando il fatto che probabilmente ognuno di noi ha in garage un set di ferri in condizioni molto migliori, beh, credo che questi bastoni parlino di Ben Hogan molto più di tanti articoli. Innanzitutto l’usura degli stessi, le ammaccature sulla suola, i segni delle mani sul grip. Ferri usati incessantemente per un anno o più, per colpire migliaia di palline, in campo pratica e sui percorsi più prestigiosi dell’epoca. In effetti, dal secondo dopoguerra fino al 1954, anno in cui fondò la propria casa produttrice, Ben Hogan utilizzò a quanto pare solo tre set di ferri, creati appositamente per lui dalla Mc Gregor. In secondo luogo le modifiche che Ben Hogan apportava personalmente ai suoi bastoni. I Pro di oggi hanno ferri nuovi e scintillanti, appena tolti dal cellophane ad ogni torneo, settati appositamente per loro da un clubfitter personale. Ben Hogan invece modificava personalmente i propri bastoni, e vederne il risultato su questo vecchio set è quasi emozionante. Il piombo applicato sul dorso per appesantire la testa, le molature sul profilo superiore dei ferri lunghi. Le stesse impugnature in corda,in cui Ben Hogan inseriva un cordino per avere un riferimento per il corretto grip. “A golf club should be like a work of art, like a piece of fine jewelry.” Questo afferma Ben nelle “Five Lessons”; e in queste foto io ci vedo proprio questo: un’opera d’arte. Fatta da un uomo e temprata dal tempo. L’altra classica domanda che sorge spontanea di fronte ad un set di ferri così è: come giocherebbero i Pro di oggi con i bastoni di sessant’anni fa? Io la risposta non ce l’ho. Forse dovreste chiederlo a Rory McIlroy.

martedì 28 maggio 2013

Ben Hogan's secret

É quasi incredibile come ancora oggi, nell'età moderna del golf atletico di Tiger Woods, Rory McIlroy, Bubba Watson, cosi tante persone nel mondo del golf si chiedano quale fosse il segreto di Ben Hogan.
Nel leggere tutto ciò che si è detto e scritto viene da pensare al segreto di Ben Hogan come l’equivalente, in ambito golfistico, di quello che era la ricerca del Sacro Graal nel medioevo. Giocatori, allenatori, commentatori si perdono nell'analisi del suo swing, evidenziando di volta in volta qualche particolare specifico del suo movimento; il polso, certamente, ma anche il ferro che si abbassa nel downswing, il finish alto, la distensione del braccio destro nel follow through. Fa sorridere pensare che in realtà, e ne sono praticamente certo, non vi e nessun segreto nello swing di Ben Hogan. Tutto ciò che vi è da sapere è scritto, nero su bianco, nelle pagine che avete appena letto. E la dedizione con cui il grande Hogan spiega ogni particolare dello swing non lascia dubbi. Cosi come io personalmente non ho dubbi che, se Ben Hogan avesse mai avuto un segreto, lo avrebbe divulgato senza problemi, perché per lui il golf era anche questo, ovvero contribuire alla conoscenza di questo bellissimo sport.
Dalle sue parole, e vi consiglio di vedere l'intervista che rilasciò nel 1977su Youtube, si avverte prima di tutto quanto rispetto nutrisse per il gioco del golf, e quanta gratitudine provava per una disciplina che gli aveva dato cosi tanto.
Alla domanda che un giornalista gli fece per l'ennesima volta, su quale fosse il suo segreto, Ben Hogan rispose laconico, forse sconsolato: "The secret is in the dirt", il segreto sta nella polvere. Tutti iniziarono a pensare all'attacco della palla, alla zolla. In realtà Ben Hogan intendeva dire che il segreto sta tutto nella polvere del campo pratica, nel sudore e nella fatica quotidiana.
Non un segreto dunque, ma come lui stesso dice più volte, una sequenza coordinata di azioni, eseguite correttamente fino a quando non diventano istintive. Second nature, per la precisione.Tutto qui. A distanza di più di cinquant'anni dalla stesura di questo libro, si può ancora cogliere tutto il suo pensiero guardando un torneo dei pro.
Nel suo swing vi è tutto ciò che potete rivedere nello swing dei giocatori moderni: la connessione tra braccia e corpo di Hansen, la rotazione anticipata dei fianchi di Tiger, la supinazione del polso di Dustin Johnson,  il piano che si abbassa nel downswing di Garcia,  il finish alto di Luke Donald.
Semplicemente Hogan faceva tutto questo, insieme e meglio di chiunque altro. Certo, Arnold Palmer e Jack Nicklaus erano grandissimi campioni, ma nessun pro si sognerebbe mai di copiare il loro swing. Troppo personale, troppo fisico. Lo swing di Mr. Hogan invece, è ancora oggi per chi lo rivede una gioia per gli occhi. La grazia, l’eleganza e la potenza in un unico fluido movimento.
Mi piace terminare questo blog con un ultima nota biografica sull'autore.
Nel 1953 Ben Hogan partecipò a solo cinque tornei, tra cui tre major. Li vinse tutti e cinque. Dopo quello che venne definito il suo Golden Year, il suo impegno sul tour si limitò a quattro o cinque tornei all'anno. Il suo fisico non poteva permettergli altro. Dal 1961 solo qualche esibizione e la partecipazione al Master come past champion.
Proprio all’Augusta National, nel 1967, a cinquantaquattro anni, arrivò decimo. Nel terzo giro marcò un 66, sei sotto il par del campo. 36 colpi nelle front nine, 30, dico 30 colpi nelle back nine. Uno score card da 11 pars, un bogey e 7 birdies.


Quel pomeriggio ad Augusta viene ancora ricordato come lo “Special Saturday”, uno di quei rari momenti in cui le migliaia di persone presenti si resero conto di essere testimoni di una giornata storica per il golf.
Vi ringrazio per l'attenzione concessa a queste parole. Non so a voi, ma a me  leggere per l'ennesima volta il libro mi ha fatto un gran bene. E se il vostro swing  migliorerà grazie a questo blog, beh, credo che anche Ben Hogan ne rimarrà soddisfatto. Buon gioco.



lunedì 15 aprile 2013

Video 1 - The Grip



Nell'attesa del secondo capitolo, vi propongo questo video in cui è riassunta molto bene la teoria di Ben Hogan sul grip.

mercoledì 20 marzo 2013

Introduzione

Per ogni giocatore di golf, ad ogni livello, il nome di Ben Hogan rimanda ad una leggenda del golf. In campo pratica, parlando di tecnica, le sue nozioni vengono richiamate continuamente, sia per dimostrarne la validità che per smentirne l’efficacia.  Ma anche in questo secondo caso, sembra che non si possa prescindere dall’insegnamento di Ben Hogan, come se le sue parole fossero la pietra di paragone su cui giudicare ogni altra teoria dello swing. Per questo motivo, pochi anni dopo aver iniziato a giocare a golf, mi stupii nell’ apprendere che non esisteva una traduzione in italiano del suo libro più importante; “Five Lessons; the modern fundamentals of golf”. Un libro citato innumerevoli volte, su ogni pubblicazione golfistica. Ne acquistai una copia, in Inglese, e la lessi una prima volta. Poi una seconda ed una terza. In seguito divenne una compagnia occasionale, quasi un vademecum da consultare ogni volta che il mio gioco attraversava momenti difficili.
Ma per prima cosa, ancor prima di comprendere appieno la sostanza del pensiero di Ben Hogan, fui colpito dalla precisione e al contempo dall’eleganza del linguaggio usato.  Pensando proprio a questo, alla accuratezza con cui Ben Hogan esponeva la propria teoria, ho creduto che ogni altro articolo, o pubblicazione che riportasse il pensiero dell’autore e lo interpretasse in qualche modo, non potesse rendere appieno la forza educativa del libro stesso. Questo è il primo motivo per cui ho deciso di tradurlo in italiano, spero rendendo giustizia al linguaggio dell’autore; perché le sue nozioni possano essere comprese pienamente  attraverso la lettura delle parole esatte che Ben Hogan ha utilizzato più di cinquant’anni fa.